Il primo afroamericano a giocare in NBA.
Il 3 aprile 1928 ad Alexandria, in Virginia, nasce Earl Lloyd.
È un bambino nero, come tanti, ma viene al mondo in un periodo storico piuttosto duro per gli afroamericani: le leggi Crow mantengono viva la segregazione razziale.
Impongono una divisione tra bianchi e neri a scuola, sui mezzi di trasporto e nei luoghi pubblici.
Lui ancora non lo sa ma, qualche anno più tardi, senza rendersene conto, contribuirà notevolmente a cambiare le cose.
Lo farà in un modo decisamente unico, inaspettato e forse inconsapevole.
Ecco come…
EARL LLOYD E IL BASKET.
Durante gli anni del College, Earl si avvicina al mondo del basket dimostrando grandi abilità, con statistiche proprie di un ottimo giocatore.
Numeri che balzano agli occhi e che gli offriranno un’opportunità unica, soprattutto per un ragazzo di colore.
La NBA è nata da poco e Lloyd sarà il primo cestista nero a calcare il parquet più prestigioso nel mondo della pallacanestro.
Dopo una prima esperienza a Washington, gioca per sei stagioni nei Syracuse Nationals (i futuri Philadelphia 76ers).
Scendere in campo, per un “coloured”, è difficile in quegli anni.
Ogni partita, sempre la stessa storia: riceve un mare di insulti da parte del pubblico, mentre gli arbitri lo tutelano a malapena.
LA SPINTA PER IL CAMBIAMENTO SOCIALE.
In quegli anni, Rosa Parks, Martin Luther King e tanti uomini e donne comuni si sono battuti per rovesciare l’intero sistema politico e sociale che accettava, manteneva in vita la discriminazione razziale.
Earl, sopportando insulti e ingiustizie sportive, va avanti, continua a giocare.
Dimostra al mondo intero che bianchi e neri possono, devono sfidarsi su uno stesso campo di gara.
EVOLVERE E FAR EVOLVERE.
Così facendo, con determinazione, duro allenamento e cuore, riesce a dare quella spinta in più al proprio talento e conquista, nel 1955, il titolo NBA.
Lloyd ha giocato da ala piccola, con tecnica, buona prestanza fisica ma senza essere un giocatore di primissima fascia.
Il motivo per cui oggi lo ricordiamo è soprattutto per aver contribuito, con la sua presenza in campo, ad un cambiamento epocale della società americana e in parte della mentalità occidentale.
“The Big Cat” ci dimostra, con la sua storia, che determinazione e passione non solo possono portarci grandi risultati e soddisfazioni personali, ma riescono a farci compiere azioni in grado di generare profondi cambiamenti.
Cambiamenti che possono riguardare noi, le persone che ci sono accanto e l’intera società.
Solo così si può crescere e far evolvere il mondo che ci circonda, continuamente e in meglio.